Il 25 aprile del 1945 il
CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) ordinò
l'insurrezione generale a Milano contro l'occupante nazista e le
forze della Repubblica Sociale Italiana, lo stato fantoccio retto da
Mussolini. A partire dall'anno successivo in questa data venne
fissato l'Anniversario della liberazione d'Italia, una giornata in
cui ricordare la lotta contro la barbarie nazifascista e tutti coloro
che vi presero parte, molto spesso a costo della vita.
25 aprile
2013. Sono passati 68 anni da quel giorno e molti dei protagonisti di
quegli anni sono morti: ha ancora senso dare così tanta importanza
ad un evento così lontano nel tempo? Assolutamente sì, proprio
perchè la memoria di “prima mano” relativa alla Resistenza e al
secondo conflitto mondiale sta lentamente venendo meno, aprendo la
strada a pericolosi relativismi, se non a vere e proprie
mistificazioni più o meno grossolane. Non è un caso, infatti, che,
proprio all'approssimarsi di questa ricorrenza, inizino a spuntare
come funghi vari appelli ad una lettura condivisa di quel periodo
storico o, addirittura, a rendere il 25 aprile la festa di tutti
italiani. Come è facilmente intuibile, tutti questi espedienti
retorici altro non sono che un tentativo - nemmeno troppo velato –
di inserire nell'immaginario collettivo l'idea che, in fondo,
partigiani e repubblichini non fossero poi così diversi tra di loro,
se non per la propria scelta di campo.
Chi si fa portavoce di questo
pensiero non tiene conto di una differenza macroscopica, ovvero
dell'asservimento della RSI al Reich hitleriano e l'attiva
partecipazione ai crimini da esso compiuti. Le brigate nere, le bande
di torturatori come la banda Koch e Carità e altre formazioni
(para)militari repubblichine parteciparono attivamente alla
deportazione degli ebrei italiani verso i campi di sterminio, alle
attività antipartigiane che spesso si trasformavano in aperta
violenza nei confronti della popolazione civile accusata di
supportare i “ribelli” e alla fucilazione di ostaggi. Finita la
guerra ben pochi pagarono per questi crimini, mentre per assurdo ad
essere processati furono proprio quei partigiani rei di aver
continuato la lotta resistenziale oltre i termini “ufficiali”.
Il 25 aprile
può e deve essere un'occasione di riflessione anche in Sudtirolo. Le
particolari vicende storiche che si sono svolte in quel convulso
periodo che va dal primo al secondo dopoguerra, infatti, sono state
usate e abusate – e tuttora continuano ad esserlo – per fini
politici.
Vale la pena ricordare come nel 2009 l'allora vicesindaco
di Bolzano, Oswald Ellecosta della SVP, affermò pubblicamente che
per la popolazione sudtirolese la vera liberazione non avvenne il 25
aprile del 1945, bensì l'8 settembre del 1943, data in cui la
Wehrmacht occupò militarmente il territorio provinciale che, insieme
alle provincie di Trento e Belluno, venne successivamente annesso al
Reich con il nome di Operationszone Alpenvorland.
Certo, durante il
ventennio fascista la popolazione di madrelingua tedesca ha sofferto
a causa delle opzioni e della campagna di italianizzazione forzata
promossa dal regime fascista, ma ciò non giustifica in alcun modo
l'adesione di massa della popolazione sudtirolese al
nazionalsocialismo con tutte le sue conseguenze. Ellecosta
dimenticava le deportazioni di massa che cancellarono la fiorente
comunità ebraica meranese, dimenticava l'istituzione del lager di
Bolzano e del sottocampo di Merano (entrambi rasi al suono dopo la
guerra...), dimenticava l'eccidio della caserma Mignone contro
prigionieri di guerra, la strage di Lasa avvenuta a guerra
praticamente finita oppure la strage del 30 aprile 1945 a Merano.
Tutto questo
ci dimostra l'importanza della memoria storica e la sacralità del
compito di tramandarla alle generazioni future, in modo che certi
orrori non si ripetano più. Un compito ancora più importante in un
momento di crisi economica e sociale in cui idee come quelle
nazifasciste trovano fertile humus proponendo “facili” soluzioni
e agitando lo spauracchio dell'immigrato cattivo o del fantomatico
complotto delle banche ebraiche, facendo leva sulle difficoltà
economiche della gente. Un motivo in più per non abbassare la
guardia se non vogliamo ripiombare in un abisso di barbarie.
by pakko